Carcere e Coronavirus. La situazione del carcere Dozza di Bologna
Durante le tensioni scoppiate anche all’interno del carcere della Dozza a Bologna, in seguito alle restrizioni imposte dalle misure anticoronavirus che hanno limitato i colloqui con i familiari, alcuni detenuti hanno sottratto le medicine dall'infermeria e un detenuto della Casa Circondariale di Bologna è morto per un'overdose da psicofarmaci. Le rivolte nelle carceri sono episodi molto gravi e la violenza, oltre a essere sempre sbagliata, è anche controproducente.
Oltre ai danni economici, dobbiamo purtroppo “contare” anche i danni umani, creati da una gestione superficiale della situazione carceraria, che ha messo in difficoltà tutto il personale che opera già in condizioni difficili all’interno delle carceri. Penso naturalmente al personale della polizia penitenziaria e agli educatori. Nelle carceri italiane, oltre alle carenze strutturali degli edifici, è allarmante anche la carenza di personale della polizia penitenziaria e di educatori: nel carcere Dozza di Bologna sono solo 6 gli educatori per 891 detenuti.
Il decreto “Cura Italia” punta a facilitare la detenzione domiciliare per le persone che sono a fine pena, per rispondere così sia alla crisi legata al sovraffollamento che all’epidemia Coronavirus. In Italia ci sono più di 8.000 detenuti che devono scontare da 1 giorno a 12 mesi e altrettanti da 1 a 2 anni come pena residua. Parliamo di circa 16.000 perone.
Il quotidiano “La Repubblica” scrive di quattro contagi all’interno del carcere Dozza di Bologna. Bisogna prevenire l'epidemia, non cercare rimedio dopo. Bisogna ricorrere alle misure alternative e aumentare la detenzione domiciliare, tenendo presente che 16mila detenuti hanno una pena residua inferiore ai due anni.
Gentile Presidente, nelle carceri, gli interventi proposti dal Ministro Bonafede temo siano insufficienti. Non è previsto ad esempio il distanziamento sociale, impossibile da applicare nei casi di sovraffollamento, mentre sappiamo essere un comportamento richiamato come indispensabile dalla Comunità scientifica mondiale per evitare i contagi: la distanza minima di un metro dentro alle celle non viene infatti rispettata.
Il decreto è anche inadeguato perché non serve a ripristinare l’ordine e la sicurezza sanitaria dentro le carceri, ormai vicine al collasso. L’introduzione del braccialetto elettronico per la detenzione domiciliare per chi ha una pena inferiore ai 18 mesi da scontare è sbagliato, perché rallenta il sistema e lo appesantisce di nuove procedure. Inoltre, non inciderà sufficientemente sul problema del sovraffollamento, perché, con tutte le limitazioni imposte, non sono così numerosi coloro a cui resta da scontare meno di 18 mesi.
Bisogna intervenire prima che l’epidemia entri dentro agli istituti di pena, causando problemi sanitari e di sicurezza sociale enormi per il Paese, aumentando la pressione per il nostro sistema sanitario nazionale.
In uno Stato democratico, vista l’emergenza del Coronavirus, l’amnistia e l’indulto sarebbero provvedimenti necessari. I tribunali sono congestionati da milioni di processi pendenti e la popolazione carceraria è oltre il limite di legge. In alcune carceri italiane, il sovraffollamento ha picchi del 200%: alla Dozza la capienza massima di 500 persone è ampiamente superata dalla presenza di 890 detenuti.
Oggi in una lettera su Repubblica, la moglie di un detenuto denuncia come “i detenuti non siano considerati da nessuno, dimenticati da tutti e da tutto”.
Gentile Presidente, se non vogliamo che il carcere sia un processo di esclusione sociale, di disumanizzazione, scontare una pena deve poter essere un percorso che ristabilisce giustizia, non che aggiunge ingiustizia, e dobbiamo garantire condizioni di lavoro e di vita dignitose sia per chi lavora (polizia penitenziaria e educatori) che per gli uomini e le donne detenuti.