Mafia Capitale: la cooperazione sociale è un'altra cosa
La vicenda delinquenziale di Mafia Capitale, con il coinvolgimento della cooperazione sociale in turbative d'asta e corruzione, concussione di politici e funzionari, in spregio alle condizioni di migranti e profughi che le stesse realtà apparentemente non profit dovevano tutelare, getta discredito anche su tante organizzazioni e operatori che fanno della solidarietà una scelta di vita e non una fonte di guadagno.
Dispiace constatare come una importante aggregazione di imprese sociali sia rimasta indenne da sospetti e controlli, anche interni al movimento cooperativo, che potevano prevenire le distorsioni nelle acquisizioni di rilevanti commesse pubbliche. Bene che questo sia venuto alla luce e che anche le cooperative sociali debbano dimostrare di essere coerenti con i valori e la mission dichiarata.
Grandi aziende cooperative, nel processo di crescita, sono rimaste tali solo nella retorica e non nella sostanza, tradendo i nobili principi della cooperazione sociale, perdendo di vista le persone, dentro e fuori l'azienda, in particolare quando chi dovrebbe essere destinatario di cure, aiuti e sostegni, diventa oggetto, perdendo la sua umanità, contabilizzato tra i costi e i ricavi di un fare amministrativo che non può produrre senso, qualità relazionale, buona vita per chi ne ha più bisogno.
Nel mondo dei Carminati e dei Buzzi non c'è posto per gli ultimi, quelli stanno più in basso, sono utili per incamerare profitti o per misurare l'entità delle tangenti da riconoscere a funzionari compiacenti.
Queste vicende mettono in discussione nell'opinione pubblica la reputazione della cooperazione sociale in generale, anche di quella più aderente allo spirito originario. Il movimento cooperativo deve pretendere una maggiore rendicontazione non solo economica ma anche sociale dell'attività svolta, una maggiore sorveglianza, trasparenza e controllo reciproco, oltre che associativo, da parte delle cooperative, smettendola di incensare con il merito manageriale solo le grandi imprese e disconoscendo il valore delle piccole e medie realtà.
Meglio rimanere apprendisti imprenditori o manager imperfetti che continuano a “vedere” le persone che hanno più bisogno, relazionandosi con esse, promuovendo la loro inclusione nei contesti comunitari di appartenenza, piuttosto che grandi strateghi dediti a relazionarsi con i piani alti della politica e delle istituzioni perdendo di vista le ragioni stesse del proprio operare, magari degenerando nelle scelte e nei comportamenti, nell'abuso e nell'illegalità.
Se non vogliamo che la cooperazione muoia, i valori devono sopravvivere nel cuore e nell'impegno di chi ci crede ancora e che devono contraddistinguere il lavoro in favore dei più deboli.
C'è una cooperazione pulita, ripartiamo da lì