Il Cie di Bologna non deve riaprire.
Bisogna evitare nuove sofferenze, nuove violazioni dei diritti umani, ulteriore spreco di denaro pubblico.
Quella per la chiusura del Cie di Bologna è stata una delle battaglie più intense in cinque anni da consigliere comunale
(http://urp.comune.bologna.it/comunica/comstampa.nsf/faa30f1db70ca835412569190058e89b/781dd1a1f151c1edc1257b1e0047c31d?OpenDocument).
Una battaglia iniziata nel 2012 dopo le denunce di Medici per i diritti umani e della Garante delle persone detenute in Emilia-Romagna
(https://www.change.org/p/il-centro-di-identificazione-ed-espulsione-di-bologna-non-deve-riaprire).
Il Cie di Bologna era una struttura che rappresentava non solo un pericolo per le persone ma anche un costo sociale e economico enorme, un luogo di degrado, di violazione dei diritti umani. Tutta la città ha chiesto con forza di non riaprire il Cie (http://www.radiocittadelcapo.it/archives/il-cie-resti-chiuso-riaprirlo-sarebbe-uno-spreco-136203/)
e a marzo del 2013, primo in Italia, il Cie di Bologna è stato chiuso.
A luglio del 2014, abbiamo vinto davvero: il centro di via Mattei è diventato un luogo di accoglienza per chi è costretto a scappare dalla fame e dalla guerra. E così è oggi: un hub dove prestare assistenza sociale e sanitaria e iniziare a insegnare l’italiano, in attesa che una commissione decida se accogliere le richieste di asilo (http://urp.comune.bologna.it/comunica/comstampa.nsf/faa30f1db70ca835412569190058e89b/31b831617f33d67dc1257d1c004183c3?OpenDocument).
I Cie sono disumani e inutili. Proviamo a guardare i numeri per capire.
I Cie attivi in Italia sono quattro, per una capienza totale di 359 posti: si trovano a Brindisi, Caltanissetta, Roma, Torino. Al 30 dicembre 2016 risultavano trattenute nei Cie italiani 288 persone.
Originariamente i Cie erano quindici, ma sono stati gradualmente dismessi a causa di problemi legali, umanitari e di ordine pubblico.
Strutture simili sono presenti in tutta Europa, circa duecento.
Negli ultimi giorni si è tornato a parlare di questi centri, il nuovo ministro dell’Interno Marco Minniti ha chiesto di aprire un Cie in ogni regione d’Italia. Nel 2016 sono stati rimpatriati 5.066 migranti a fronte di 38.284 migranti irregolari e la volontà del governo è di incrementare i rimpatri di cittadini stranieri nei prossimi mesi.
Questo nel quadro di politiche europee sempre più orientate al rimpatrio delle persone che non riescono a ottenere una forma di protezione in Europa, un gruppo sempre più esteso in cui rientrano i migranti per ragioni economiche.
Nei 18 anni dalla creazione dei Cie, le critiche da parte dei difensori dei diritti umani e di organizzazioni indipendenti hanno mostrato che la detenzione amministrativa dei cittadini stranieri irregolari è inefficace da tutti i punti di vista, tranne uno: quello della comunicazione politica che usa i migranti come terreno di
scontro tra gli schieramenti politici in cerca di facili consensi.
L’annuncio dell’apertura di nuovi Cie sembra quindi una mossa di comunicazione del governo chhe si prepara a una campagna elettorale dominata nei temi e nei modi dai partiti populisti e dalla destra.
Già nel 2007, dieci anni fa, una commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dall’inviato dell’Onu Staffan de Mistura stilò un rapporto in cui si sosteneva la necessità di “superare i centri” e un sistema inefficace che faceva registrare violazioni e soprusi. Il sistema dei Cie, si legge nel rapporto, “non consente una gestione efficace dell’immigrazione irregolare” e “comporta costi elevatissimi con risultati non commisurati”.
Bisogna ricordare infatti che i Cie non funzionavano neanche quando erano a pieno regime, o almeno non funzionavano per lo scopo per il
quale erano stati creati: il rimpatrio dei migranti irregolari.
Rimpatriare i migranti irregolari è un’operazione costosa ed è possibile solo in presenza di accordi bilaterali con i paesi di origine dei migranti. Ma questi accordi nella maggior parte dei casi non esistono. Negli ultimi quindici anni, i paesi europei hanno speso circa 11,3 miliardi di euro per espellere i migranti irregolari. Il Rapporto sui Centri di identificazione ed espulsione della Commissione diritti umani del senato nel febbraio 2016 affermava che il 50% delle persone raggiunte da un decreto di espulsione e transitate dai Cie in effetti non viene rimpatriato perché i costi sono altissimi e perché i paesi che hanno formalizzato delle intese di riammissione con l’Italia sono pochi: l’Egitto nel 2007, la Tunisia nel 2011 e più di recente la Nigeria e il Marocco. Esistono degli accordi di collaborazione infine con la polizia del Gambia e del Sudan.
Negli ultimi quindici anni, i paesi europei hanno speso circa 11,3 miliardi di euro per espellere i migranti irregolari e 1,6 miliardi per rafforzare i controlli alle frontiere. Questi dati in realtà sono sottostimati, i paesi europei non hanno una normativa comune per i rimpatri e non c’è trasparenza sui costi sostenuti da ogni stato. Una cosa è certa: accogliere i migranti invece di respingerli costerebbe meno.
La Campagna "LasciateCIEntrare", che chiede di far entrare giornalisti e attivisti nei centri, denuncia da anni le condizioni disumane di detenzione e le violazioni dei diritti umani all’interno dei Cie italiani. “Sono strutture inutili, inefficienti e costose con condizioni di trattenimento lesive della dignità umana e soprattutto inutili al contrasto dell’immigrazione irregolare”.
Bologna deve rimanere un modello di accoglienza, grazie all’hub regionale. Da centro di identificazione ed espulsione con condizioni di vita (e di lavoro) inaccettabili, a hub regionale dove fare vera accoglienza per profughi e richiedenti asilo.