Vestirsi dentro
“Vestirsi dentro” è una raccolta benefica per i detenuti della Casa Circondariale di Bologna.
L'iniziativa è promossa dall'Associazione Nazionale Magistrati, dalla Camera Penale, dall'Ordine degli Avvocati, dal Garante dei detenuti della Regione Emilia-Romagna e del Comune di Bologna, grazie all'impegno del mondo del volontariato e delle associazioni AVOC, Antigone e Chiusi Dentro.
C’è bisogno tutto in carcere: tute, felpe, maglioni, t-shirt, jeans, calze, biancheria intima, scarpe e ciabatte, oltre a lenzuola e asciugamani. La raccolta continua anche oggi e domani in via Farini 1, presso il Tribunale di Bologna dalle 9.30 alle 13.
L’Unione Europea ha condannato l’Italia per le condizioni in cui vivono le persone nel sistema detentivo del nostro paese. Uno stato democratico ha il dovere di garantire condizioni di vita dignitose anche in un luogo di restrizione. Il carcere non dovrebbe infatti punire, ma rieducare.
Bologna dimostra ancora una volta di essere una città solidale, capace di creare reti e collaborazione con il territorio. Il carcere non è extraterritoriale, una terra di confine senza relazioni con la città, ma è parte della città di Bologna, e l’esperienza del carcere deve proporsi come un tempo di riprogettazione di vita, ad esempio attraverso l'opportunità di imparare un mestiere.
Ci sono esperienze che confortano questa prospettiva: l'esperienza musicale del coro diretto dal maestro Napolitano; il laboratorio sartoriale operante all’interno della sezione femminile; il laboratorio per il trattamento di materiali elettronici in collaborazione con l'azienda Hera; l'officina meccanica promossa dalle imprese metalmeccaniche bolognesi IMA, GD e Marchesini Group; la serra per la produzione agricola e il nuovo caseificio.
Da parte nostra, occorre valorizzare queste esperienze e moltiplicarle. Serve un impegno attivo delle istituzioni, una collaborazione con le realtà economiche, le cooperative sociali e le associazioni di volontariato. Occorre che il carcere possa essere vissuto come dovere, ma anche come diritto di pagare per un’azione ingiusta commessa nei confronti della società, di cui si è però legittimamente ancora parte, e c’è la necessità che anche questa esperienza drammatica lasci intravedere una prospettiva, un futuro possibile.