Il Carcere è parte della città di Bologna
Oggi, all'interno del carcere Dozza di Bologna, è partita la produzione di mozzarelle di bufala. Il caseificio “Liberiamo i sapori” funzionerà esattamente come una qualsiasi altra vera azienda.
Il Comune di Bologna, durante lo scorso mandato, ha riattivato lo Sportello del cittadino dentro il carcere cittadino che offre un servizio di rilascio della documentazione anagrafica. Abbiamo ripristinato la figura dell’assistente sociale che garantisce il collegamento “tra dentro e fuori”, tra il detenuto e la città, supportando i detenuti negli ultimi 6 mesi di detenzione e nei primi mesi di libertà, per favorirne il reinserimento sociale ed evitare le recidive. Abbiamo riattivato il Comitato Locale per l'esecuzione penale per mettere in rete tutte le risorse e esperienze già attive e che possono attivarsi.
Il carcere non è extraterritoriale, una terra di confine senza relazioni con la città, ma è parte della città di Bologna, e l’esperienza del carcere deve proporsi come un tempo di riprogettazione di vita, ad esempio attraverso l'opportunità di imparare un mestiere.
Ci sono esperienze che confortano questa prospettiva: l'esperienza musicale del coro diretto dal maestro Napolitano; il laboratorio sartoriale operante all’interno della sezione femminile; il laboratorio per il trattamento di materiali elettronici in collaborazione con l'azienda Hera; l'officina meccanica promossa dalle imprese metalmeccaniche bolognesi IMA, GD e Marchesini Group; la serra per la produzione agricola. Attualmente, ci sono 14 detenuti al lavoro nell’officina meccanica, 2 nel recupero del materiale elettronico, 4 donne impiegate nella sartoria e 2 persone in tirocinio nella serradove si producono erbe aromatiche e insalata.
Oggi il nuovo caseificio permette 4 nuovi inserimenti lavorativi eoffrirà la possibilità ai detenuti di imparare un mestiere, ma l'obiettivo è di coinvolgere più persone.
Da parte nostra, occorre valorizzare queste esperienze e moltiplicarle. Serve un impegno attivo delle istituzioni, una collaborazione con le realtà economiche, le cooperative sociali e le associazioni di volontariato. Occorre che il carcere possa essere vissuto come dovere, ma anche come diritto di pagare per un’azione ingiusta commessa nei confronti della società, di cui si è però legittimamente ancora parte, e c’è la necessità che anche questa esperienza drammatica lasci intravedere una prospettiva, un futuro possibile.