I detenuti del carcere Dozza cantano in Vaticano
Sovraffollamento, strutture inadeguate e mancanza di risorse economiche, sono solo alcune delle questioni che periodicamente riaffiorano nel dibattito pubblico quando si parla di carcere. La Legge italiana definisce il lavoro come elemento “obbligatorio” del trattamento penitenziario, in quanto abitua il detenuto a svolgere un’attività produttiva, contribuisce al suo sostentamento ma soprattutto favorisce l’integrazione sociale.
All'interno della Casa Circondariale di Bologna, la capienza di 494 detenuti è abbondantemente superata dalle 711 presenze, i definitivi sono 390 mentre sono 321 le persone in attesa di giudizio. I cittadini stranieri sono 383 e le donne 64.
Durante lo scorso mandato, più volte mi sono occupato di carcere. Il Comune di Bologna ha riattivato il Comitato Locale, riaperto lo Sportello anagrafe del cittadino dentro il carcere e ripristinato la figura dell’assistente sociale che supporta i detenuti negli ultimi 6 mesi di detenzione e nei primi mesi di libertà.
Il carcere non può essere uno spazio separato, una terra di confine senza relazioni con la città.
Il tempo trascorso in carcere deve essere un tempo di riprogettazione di vita. Alla Dozza ci sono alcuni progetti che vanno in questa direzione: il coro diretto dal maestro Napolitano; il laboratorio sartoriale all’interno della sezione femminile, che offre alle detenute la possibilità di imparare un mestiere; il laboratorio per il trattamento di materiali elettronici in collaborazione con Hera; l'officina meccanica promossa dalle imprese metalmeccaniche bolognesi Ima, Gd e Marchesini Group.
Credo sia importante lavorare per valorizzare queste esperienze e moltiplicarle: i servizi, le piccole cooperative per l'inserimento lavorativo di persone svantaggiate, il volontariato, l'Università. Serve un impegno attivo delle istituzioni, serve la collaborazione delle imprese, delle cooperative sociali e delle associazioni di volontariato.
Occorre che il carcere possa essere vissuto come dovere, ma anche come diritto di pagare per un’azione ingiusta commessa nei confronti della società, di cui si è però legittimamente ancora parte, e c’è la necessità che anche questa esperienza drammatica lasci intravedere una prospettiva, un futuro possibile.
Il progetto Papageno è promosso dall'Associazione Mozart14.