Nomadi, grandi campi addio.
La Regione Emilia-Romagna e il Comune di Bologna intendono superare i campi nomadi di grandi dimensioni, in attuazione della legge regionale del 2015 sull’inclusione sociale di Rom e Sinti. L'obiettivo è diminuire tensioni e degrado, e favorire l'integrazione. Dobbiamo superare la logica dei grandi campi e favorire situazioni dignitose di abitazione, in cui i costi e i doveri di manutenzione sono di responsabilità degli abitanti.
La creazione di microaree pubbliche e private, queste ultime autofinanziate dai nuclei che si insediano, e l'agevolazione della scelta di abitazioni tradizionali (alloggi sul mercato o quelli popolari in presenza dei requisiti) sono l'obiettivo della legge regionale.
Ho visitato i tre campi “ufficiali” di Bologna. Nel campo di via Erbosa a Bologna, provvisorio dal 1990 dopo gli attacchi mortali della banda della “uno bianca” e ancora oggi provvisorio, si sospendono i diritti, l'umanità, confiniamo qualcuno che riteniamo superfluo. Il "campo nomade" produce un sistema di esclusione, non c'è un buon abitare. È una minoranza chiusa nei campi. Nell'area sosta di via Erbosa vivono rom-sinti furono vittime della banda della "uno bianca" due persone: Rodolfo Bellinati e Patrizia Della Santina.
Vorrei ricordare che, durante l'Olocausto, furono uccisi più di 500mila Rom e Sinti, 350mila disabili e persone omosessuali. Si tratta di una minoranza presente in tutti i paesi dell’Europa, le cui condizioni di vita sono, come per tutte le minoranze, il risultato della storia vissuta. Ebrei, Rom, disabili ed omosessuali vennero sterminati dai nazisti perché ritenute vite inutili, dei parassiti, uno spreco per l’economia.
Bologna deve uscire da un sistema di “grandi aree sosta” per nomadi che riduce in povertà economica e relazionale le famiglie dei rom-sinti che vivono da più di quaranta anni nella nostra città. La presenza dei rom nella città non è provvisoria ma è strutturale, dai primi anni novanta si sono stabiliti più di 6.000 mila rom provenienti dai Balcani (Yugoslavia, Romania e Bulgaria). Si trovano qui per cercare lavoro e per cercare asilo. Cercano casa, servizi, scuola e cercano di poter vivere riscattando la propria povertà.
Credo quindi sbagliato alimentare paura e pregiudizio. In qualità di amministratori, abbiamo invece il dovere di cambiare le politiche e studiare proposte per superare la logica dei grandi campi. Dobbiamo evitare atteggiamenti che rischiano di produrre e alimentare una cultura violenta e razzista. Una cultura che, particolarmente in tempi di crisi economica come quella che stiamo vivendo in questi anni, rischia di ritornare a riproporsi e a generare disumanizzazione, esclusione e violenze. Quando una minoranza, come spesso avviene con le persone Rom e Sinti, viene ridotta al dato etnico o viene assegnata ad una collocazione sociale deprivata, in difficoltà, il rischio che si faccia strada la convinzione che queste vite siano solo un danno è molto serio.
Anche l'Unione Europea chiede una maggiore integrazione di Rom e Sinti, e come Regione e Comune abbiamo una responsabilità comune per modificare questa situazione. Serve sicuramente una strategia nazionale per l'integrazione, ma a livello locale dobbiamo portare avanti progetti per superare la logica del campo e costruire un sistema di inclusione per migliorare la vita di tutti i cittadini, compresi i cittadini Rom e Sinti.